Uno Stato diviso: i limiti principali della politica interna della Repubblica Democratica del Congo

da | Nov 24, 2024 | Attualità

1. Introduzione

La Repubblica Democratica del Congo è un Paese grande quanto Francia, Germania, Italia e Spagna messe insieme; vi abitano popolazioni di centinaia di etnie diverse e vi convivono centinaia di lingue e dialetti diversi[1]. Centinaia sono anche i gruppi armati che da decenni imperversano per il territorio, condannando la regione a un’instabilità perenne, soprattutto nelle regioni orientali[2]. Si conta invece nell’ordine dei miliardi il giro di affari che ruota intorno alle ricchissime risorse minerarie del Paese, dal quale si estrae, per esempio, circa il 70% del cobalto mondiale; cobalto che si trova alla base della catena del valore delle batterie per veicoli elettrici e di altre nuove tecnologie sempre più richieste[3]. Questi miliardi, lungi dal portare beneficio alla popolazione locale, attirano gli interessi di decine di attori, tra paesi limitrofi, multinazionali e grandi potenze. Il Congo possiede anche la seconda foresta pluviale più estesa del mondo[4] , per la protezione della quale si sono mosse sin dagli anni ’80 diverse organizzazioni internazionali. Anche l’ONU è stabilmente presente nel territorio da diversi decenni.

Insomma, gli attori sono tantissimi, e la politica estera e la politica domestica si intrecciano in una complessità difficile da dipanare. Un Paese molto ricco, ma caratterizzato da una fragilità e un depauperamento interni ed esterni che si alimentano l’un l’altro in un circolo vizioso che sembra non conoscere soluzione. Cosa vuol dire dunque, in questa complessità, parlare dei principali limiti della politica interna della Repubblica Democratica del Congo? Vuol dire ripartire dalla dimensione locale, da una dimensione che ci permetta di passare dai numeri alle persone, ovvero dalla dimensione in cui opera Magic Amor.

Questo articolo propone una rapida rassegna della storia recente del Congo, senza alcuna pretesa di completezza, ma con l’intento di fornire alcune coordinate fondamentali. Da qui, si procede nell’individuazione di alcune problematiche che hanno caratterizzato ogni tappa di questa storia e che ancora oggi rappresentano dei forti limiti allo sviluppo del Paese. In particolare, ci si focalizza su come differenze etniche e linguistiche, nonché la mancanza di un sistema educativo e lavorativo gerarchizzato, nutrano una continua corsa al potere e all’interesse personale, al tribalismo e al favoritismo. Dopodiché, si conclude con la presentazione di quanto Magic Amor fa, nel suo piccolo, per favorire tendenze diverse, improntate alla tolleranza della differenza, all’accoglienza delle vittime dei continui conflitti, all’educazione, e al riconoscimento della dignità di ogni professione.

 

Figura 2 Statua equestre di Leopoldo II a Kinshasa – Wikimedia Commons

 

2. Cenni storici

Un’entità unica con confini approssimabili a quelli dell’attuale Repubblica Democratica del Congo nasce tra il 1884 e il 1885, quando, durante la Conferenza di Berlino, il sovrano del Belgio, Leopoldo II, ottiene il riconoscimento del proprio dominio assoluto personale su un territorio vastissimo, non ancora precisamente cartografato, e di cui di fatto controlla non più di una qualche decina di avamposti. Quel territorio, che aveva visto la costituzione di regni diversi, per lingua e cultura, era già stato per lungo tempo interessato da scambi commerciali con l’Occidente, nonché con il mondo arabo, soprattutto sulle coste, ed anche dagli effetti disastrosi di mercati nocivi per lo sviluppo interno, quali quelli dell’avorio e degli schiavi. L’assegnazione era stata fatta senza alcun criterio geografico e senza alcun riguardo per la composizione della popolazione che lo abitava. Ancora oggi alcune popolazioni che condividono etnia e lingua si trovano separate tra diversi Paesi dell’area, mentre popolazioni diversissime si trovano sotto la stessa bandiera[5].

In cambio del riconoscimento dello “Stato Libero del Congo”, Leopoldo II garantisce libero commercio nel territorio e per diverso tempo il suo effettivo controllo sul Paese è limitato. Dopo alcuni anni, tuttavia, avendo dato fondo alle proprie finanze personali e avendo ricevuto indietro meno di quanto auspicato, il Sovrano cambia strategia, chiede un aiuto economico allo Stato del Belgio (di cui era “solo” monarca costituzionale, non assoluto, e che non aveva a che fare con la gestione del suo personale dominio africano) e inizia di fatto a venire meno alle sue promesse relative al libero commercio. Ne segue una stretta sul controllo del territorio, nonché uno dei più gravi genocidi della storia dell’Africa, nel quale si stima abbiano perso la vita oltre 10 milioni di persone[6].

Pressioni internazionali, con l’emergere di alcuni scandali relativi alla gestione sanguinaria, e ancora una volta questioni economiche, costringono Leopoldo II, in seguito, a cedere il proprio territorio al Belgio, nel 1908. Il Congo rimarrà Congo belga fino al 1960, anno dell’indipendenza. La nuova Repubblica del Congo emersa dall’indipendenza appare immediatamente divisa, i partiti si formano su linee etniche e ben due regioni, il Katanga e il Kasai del Sud, compiono una secessione e si costituiscono in Repubbliche autonome. Si ritiene che ci sia il Belgio a sostegno del Katanga e l’ONU non interviene (militarmente) nel Paese, ritenendo la crisi in atto puramente interna. Il primo ministro Lumumba, espressione del Movimento Nazionale Congolese (MNC), decide allora di rivolgersi al blocco Sovietico, in aperto contrasto con il presidente Kasavubu, del partito Abako. Quest’ultimo tenta allora di revocare Lumumba e gli altri ministri del MNC, ma il primo ministro risponde facendo votare al Parlamento una mozione di revoca del Presidente[7].

Ad approfittare di queste crisi è il colonnello Mobutu, segretario di Stato nel governo Lumumba e capo di stato maggiore dell’esercito. Anch’egli espressione del MNC, non condivide tuttavia le posizioni filo-sovietiche di Lumumba e, col favore di Stati Uniti e Belgio, nel 1960 ne prende il posto facendolo arrestare (e in seguito giustiziare, mandandolo nella regione ribelle del Katanga). Dopodiché, a partire dal 1965, Mobutu esautora il presidente Kasavubu, accentra su di sé le cariche di Presidente, Primo ministro, Ministro della Difesa e degli Esteri, promulga una Costituzione fortemente presidenzialista e abolisce il multipartitismo[8]. Sotto Mobutu, il Paese prende prima il nome di Repubblica Democratica del Congo e poi, a partire dal 1971, quello di Repubblica dello Zaire, espressione di una politica di ritorno all’autenticità africana. Il regime mira, infatti, a unificare e pacificare il Paese imponendo una lingua comune, il lingala (parlato dall’etnia equatoriale dei Bangala), e un generale processo di ri-africanizzazione. Questo processo non riguarda solo misure simboliche, quali l’abolizione dei nomi francesi – lo stesso Joseph-Désiré Mobutu cambia il proprio nome in Mobutu Sese Seko – ma anche un vasto processo di nazionalizzazione di tutte le imprese straniere, che vengono messe nelle mani di congolesi o, meglio, di congolesi vicini al Presidente. Mobutu resterà al potere fino al 1997, e il suo trentennio di governo sarà caratterizzato da fortissimo clientelismo, nepotismo e corruzione, nonché da un arricchimento spropositato del Presidente stesso e della sua cerchia. Tale gestione non poteva che generare un forte indebolimento della situazione socio-economica del Paese. Tra il 1977 e il 1978, nello Shaba, attuale Katanga, al confine con l’Angola, si svolgono due tentativi di rivolta rivoluzionaria contro Mobutu. Nel 1979 è l’ora dei minatori, le cui rivendicazioni vengono spente nel sangue. La crescita del malcontento e delle rivolte interne costringe Mobutu a reintrodurre il multipartitismo nel 1990 e a lanciare una Conferenza di pace nel 1993. Come risultato di questa Conferenza, viene eletto un nuovo Parlamento e un nuovo primo ministro, Etienne Tshisekedi. Tuttavia, al tentativo di quest’ultimo di far destituire Mobutu, il Presidente scioglie il Parlamento segnando il definitivo insuccesso del processo iniziato dalla Conferenza. A partire dal 1994, il feroce conflitto tra le etnie Hutu e Tutsi si estende dal Ruanda alle province orientali dello Zaire, e anche altre etnie congolesi entrano in conflitto. Sempre nel 1994, dato il precipitare della situazione, interviene l’ONU con una nuova missione stabilizzatrice[9].

Nel 1997, con il sostegno del Ruanda, e malgrado tentativi di mediazione condotti dal presidente del Sudafrica Nelson Mandela, Laurent Désiré Kabila, a capo di una nuova Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo (AFDL), esautora Mobutu – che fugge in esilio in Marocco – e prende il potere. Lo Zaire diventa nuovamente Repubblica Democratica del Congo. Dapprima Kabila, come riconoscimento per l’aiuto offerto dal Ruanda, mantiene a capo dell’esercito un capo di stato maggiore ruandese, James Kabarebe. Quando, tuttavia, quest’ultimo viene sostituito da un militare congolese, il Ruanda decide di porsi alle spalle di un nuovo “Rassemblement Congolais pour la Democratie” (RCD) di etnia Tutsi e di origine ruandese, con l’intento di suscitare un nuovo colpo di stato. Lo stesso mira a fare l’Uganda, con la creazione di un ulteriore gruppo armato, il Movimento di Liberazione del Congo (MLC). Tra il 1999 e il 2001 scoppia dunque un conflitto tra RCD, MLC e governo, nel quale progressivamente intervengono anche contingenti di altri paesi limitrofi: un vero e proprio conflitto regionale in territorio congolese. Nel gennaio del 2001, Kabila viene assassinato ed il potere viene affidato al figlio Josef[10].

Josef Kabila, nel Febbraio del 2002, per far fronte alle grandi divisioni interne e stabilizzare il quadro politico, lancia un Dialogo inter-congolese. L’obiettivo è quello di garantire a ciascuno, in qualche misura, un ruolo nel sistema di potere, in modo da accontentare le opposizioni e ridurre il contrasto al governo. Ognuno vuole la sua fetta di torta e a ognuno si cerca di garantirla. Prova di questo è la coeva integrazione nell’esercito congolese di membri dei diversi gruppi armati, ai quali è concesso di entrarvi col medesimo grado che veniva loro riconosciuto nel gruppo armato di appartenenza: il risultato è un esercito in cui figure con origini o forti connessioni con Paesi stranieri si ritrovano con un potere consistente. Frutto di simili ragionamenti è anche il governo di transizione che viene a crearsi nel 2003, quando viene adottata la cosiddetta formula “1+4”, con 1 Presidente, Josef Kabila, e 4 vice-Presidenti, espressione di 4 partiti differenti. Nel frattempo, una risoluzione ONU impone a tutti gli eserciti stranieri di lasciare la RDC, cosa che avviene tra il 2003 e il 2006. Solo l’esercito ruandese mantiene – ancora oggi seppur non ufficialmente – un contingente militare, ufficialmente atto a proteggere le minoranze Ruandesi presenti nel territorio[11].

Il governo di transizione conduce a una nuova Costituzione, nel 2005, ed a nuove elezioni nel 2006, vinte da Josef Kabila, che rimarrà al potere fino al 2019. Le elezioni del 2006, considerate le prime elezioni democratiche avvenute in RDC, vengono contestate da uno dei contendenti, Jean Pierre Bemba, già uno dei 4 vice-Presidenti, il quale fomenta una rivolta nella capitale, Kinshasa. Ad oggi, non vi è ancora mai stata una elezione nel Paese i cui risultati non siano stati fortemente contestati dalla parte sconfitta. Nei suoi 13 anni al potere, Kabila guida un Paese considerato tra i più corrotti al mondo, favorendo la propria cerchia, nonché la propria lingua: parlare Swahili diventa una precondizione necessaria per accedere a posti di lavoro di rilievo. Nel frattempo, decine e decine di gruppi armati continuano a formarsi e a combattersi, soprattutto nelle regioni Orientali, compreso il gruppo M23, nato nel 2012 ed oggi in controllo di vaste porzioni di territorio congolese, dietro il quale, ancora una volta, sembra celarsi l’appoggio ruandese. Anche il quadro politico è particolarmente frammentato, con partiti sempre nuovi che vengono a crearsi a ridosso di ciascuna delle elezioni. La Costituzione del 2005 impone un massimo di due mandati presidenziali di cinque anni, dunque Kabila, al termine del suo secondo mandato, nel 2016, tenta una modifica costituzionale. L’opposizione parlamentare e rivolte di piazza scongiurano tale riforma, e Kabila lancia una nuova Concertazione nazionale, di fatto con l’obiettivo di guadagnare tempo. Difatti, avranno luogo nuove elezioni solo nel 2018[12]. Da queste emerge come presidente Felix Antoine Tshisekedi, a capo di una coalizione con il partito di cui lo stesso Kabila era espressione. A tale coalizione, in Parlamento, se ne oppongono almeno altre due maggiori. Questa frammentazione, ancora una volta, paralizza il governo, impegnato ad accontentare le ambizioni di potere delle diverse parti per quanto possibile. Le elezioni del 2023 vengono vinte ancora da Tshisekedi, seppure ancora una volta contestate, con brogli denunciati anche dalla Chiesa cattolica, attore importante nel Paese[13]. Anche Tshisekedi è ora impegnato in un tentativo di riforma costituzionale atta a garantirgli un terzo mandato in futuro[14].

Figura 2 Bandiera della Repubblica Democratica del Congo – Public domain vectors

 

3. Una storia che si ripete e una storia nuova: i principali limiti della politica interna congolese e come Magic Amor ETS contribuisce nell’affrontarli  

Da questo rapido percorso storico emergono alcuni fattori, che troviamo ripetuti in diverse istanze: la frammentazione politica, la continua ricerca del potere personale e della propria cerchia, e dunque il tribalismo, il nepotismo e i favoritismi. Che questo tipo di divisioni siano talvolta fomentate e strumentalizzate da attori esterni esula in questo momento dalla nostra analisi. Ci limitiamo qui ad un’osservazione delle persone, degli attori che effettivamente calcano la scena politica congolese e di ciò che queste trasmettono alla e della società congolese.

Abbiamo visto come la “situazione di partenza”, nei fatti, fosse quella di un insieme di popoli molto diversi, con culture e lingue diverse, uniti all’improvviso da una bandiera blu con una stella al centro (la stella della civiltà occidentale portata nel blu dell’ “oscuro” Congo – colori e simbolo che curiosamente fanno ancora parte della bandiera nazionale). Abbiamo visto, in apertura, come tale incredibile ricchezza e diversità etno-linguistica caratterizzi tuttora la Repubblica, e questo è incontestabile. Da ciò, tuttavia, non dovrebbe derivare automaticamente il fatto che il gruppo etno-linguistico espresso dal Presidente di turno debba godere di maggiori diritti o privilegi rispetto a tutti gli altri, ciò che invece si è verificato fino ad oggi. Un tale atteggiamento non può che favorire una continua ricerca del potere da parte di ognuno, in quanto unico modo non solo per arricchire, ma proprio per far sopravvivere il proprio gruppo. Da qui la continua instabilità, il continuo formarsi di partiti e gruppi armati, i periodici sconvolgimenti post-elettorali e il costante tentativo di chi è al potere di favorire la propria cerchia, il proprio gruppo e la propria lingua. A ciò vi si aggiunge un sistema educativo e lavorativo non gerarchizzato, dove chi lavora in politica ha la possibilità di arricchirsi ben oltre la media, mentre altre professioni, anche qualificate, non ottengono neanche lontanamente un trattamento comparabile. I laureati sono sempre di più, ma le loro possibilità di trovare un lavoro all’altezza della propria formazione è fortemente limitata. Il risultato è, ancora una volta, una grande competizione per ottenere ruoli politici. Insomma, fino ad oggi, la straordinaria diversità etno-linguistica del Paese si è risolta in un gioco a somma zero, ma davvero non ci sono alternative?

Magic Amor ETS crede nell’esistenza di un’alternativa, che tenta, nel suo piccolo, di promuovere. Il lavoro che l’associazione compie in RDC non è solo di tipo assistenziale, di “cura” delle ferite che questi mali portano alla popolazione locale, ma è anche, in qualche modo, un lavoro di prevenzione. Sul piano puramente assistenziale, Magic Amor ETS ospita nelle proprie strutture bambini resi orfani dai continui conflitti che insanguinano il Congo e ne contrappongono le tante popolazioni, i tanti interessi e le tante nazioni che lo compongono. Il centro polifunzionale messo in piedi dall’associazione a Kinshasa comprende inoltre un centro medico, per venire incontro alle necessità più vitali della popolazione dell’area. Ma le attività dell’ente non si limitano a questi servizi essenziali. Una componente fondamentale dello sforzo profuso da Magic Amor in Congo è costituita dall’educazione. Sono più di 15.000 i ragazzi che in oltre venti anni di attività sono stati ospitati dalle strutture scolastiche fondate dall’associazione. Caposaldo di questa educazione è la tolleranza della differenza. Nelle scuole di Magic Amor non si insegna ad annullare le differenze o a rinnegare le proprie origini, ma si procurano strumenti per la comprensione reciproca, a partire dall’insegnamento del lingala (considerata la lingua commerciale del Paese, tendenzialmente parlata ormai in quasi tutto il territorio, eredità del processo di unificazione intentato da Mobutu in oltre trent’anni di governo) e del francese (anch’essa lingua franca piuttosto diffusa, eredità della lunga colonizzazione, nonché lingua che permette un’apertura al mondo internazionale). L’orfanatrofio e le scuole ospitano bambini e ragazzi di etnia e lingua diversa, provenienti da gruppi spesso in guerra tra loro, ma in questi luoghi si è tutti congolesi e vige il rispetto reciproco, favorito proprio dall’accesso a strumenti di comunicazione comuni. Queste strutture non offrono solo alfabetizzazione, ma anche formazione a una molteplicità di lavori diversi. Il messaggio è quello della pari dignità di tutti i mestieri e di tutte le professioni, in controtendenza rispetto al sistema educativo e lavorativo vigente nel Paese. Il grande investimento che Magic Amor sta facendo è nella vera ricchezza del Congo, il suo vero punto di forza in mezzo a tutti questi limiti: la gioventù. Con un’età media di 16,9 anni, la gioventù in Congo non è solo il futuro, ma anche il presente, ed è da lì che è indispensabile ripartire. Giovani congolesi costituiscono anche l’ossatura fondamentale dell’associazione in loco, Magic Amor fa pieno affidamento, infatti, su talenti locali per portare avanti i propri progetti, non solo nella loro implementazione, ma anche e soprattutto nella loro concezione e preparazione. Inoltre, l’associazione collabora spesso con altre associazioni locali, per promuovere sforzi comuni e portare un messaggio di cooperazione vera e di aiuto reciproco. La grande diversità etno-linguistica della Repubblica Democratica del Congo ha fino ad oggi rappresentato un grosso limite per lo sviluppo interno, ma è davvero inevitabile che sia così? Magic Amor crede che esista un’alternativa, e cerca di promuoverla ogni giorno.

Andrea Crinò

Risorse:

[1] CIA, «World Factbook,» 2024.

[2] K. M. &. E. Gobbers, «Armed conflict, insecurity, and mining in eastern DRC: Reflections on the nexus between natural resources and armed conflict,» IPIS, Antwerp, 2022.

[3] World Bank, «Cobalt in the Democratic Republic of Congo – Market analysis,» 2021.

[4] CIA, «World Factbook,» 2024.

[5] D. Van Reybrouck, Congo, traduzione italiana, 2014 a cura di, Milano: Feltrinelli, 2010.

[6] M. C. Young, «Post-Independence Politics in the Congo,» Transition, n. 26, pp. 34-41, 1966.

[7] L. D. Witte, The suppression of the Congo rebellions and the rise of Mobutu, 1963–5, Routledge, 2018. M. Wrong, «The Emperor Mobutu,» Transition, n. 81/82, pp. 92-112, 2000.

[8] L. D. Witte, The suppression of the Congo rebellions and the rise of Mobutu, 1963–5, Routledge, 2018.

[9] J.-P. Langellier, Mobutu, Paris: Perrin, 2017.

[10] F. Reyntjens, «Briefing: The Democratic Republic of Congo, from Kabila to Kabila,» African Affairs, vol. 100, n. 399, pp. 311-317, 2001.

[11] M. Schatzberg, «Beyond Mobutu: Kabila and the Congo,» Journal of Democracy, vol. 8, n. 4, 1997.;  S.Autesserre, «Local Violence, National Peace? Postwar “Settlement” in the Eastern D.R. Congo (2003–2006),» African Studies Review, vol. 49, n. 3, 2014.

[12] S. A. Matti, «The Democratic Republic of the Congo? Corruption, Patronage, and Competitive Authoritarianism in the DRC,» Africa Today, vol. 56, n. 4, pp. 42-61, 2010.

  1. M. Dauda, «Acteurs politiques et application des accords en RDC,» International Journal of Innovation and Applied Studies, vol. 36, n. 1, pp. 284-292, 2022.

[13] H. Hoebeke, «Rumble in the DR CONGO: President Tshisekedi is taking control,» Egmont Paper, n. 112, 2021.

[14] Reuters, «Congo President Tshisekedi draws criticism over constitutional reform plans,» 24 October 2024.

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