1. Introduzione
La grande foresta pluviale che campeggia al centro del continente africano, la seconda più grande al mondo dopo quella dell’Amazzonia, rientra per la maggior parte della propria estensione nei confini della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Questa è solo la più visibile delle ricchezze naturali racchiuse dal lungo confine arbitrariamente tracciato dalle potenze colonizzatrici circa un secolo e mezzo fa. Nella sua storia, la RDC ha sempre posseduto la risorsa giusta, in grandi quantità, al momento giusto in termini di domanda internazionale: nell’epoca vittoriana era l’avorio. Con l’invenzione dello pneumatico divenne la gomma. Poi il rame, l’uranio durante la Guerra fredda, e oggi il coltan, alla base di batterie elettriche, smartphone e tanto altro[1]. Il Paese si trova inoltre in una posizione geostrategica fondamentale per i commerci del continente e confina con ben nove altri Paesi. Tutto ciò, invece di rendere la RDC una delle economie più fiorenti dell’Africa, ha finito per renderla, al contrario, uno dei fanalini di coda del continente, in termini di sviluppo e di stabilità.
È di questa dicotomia tra opportunità e minaccia, tra potenziale e realtà, che tratta questo articolo. In particolare, una prima parte esplora brevemente come tale ricchezza di risorse abbia condizionato la politica interna ed esterna del Paese, intrecciando notevolmente i destini dell’una e dell’altra. Dopodiché, ci si concentra su opportunità e minacce di una risorsa specifica, quella da cui siamo partiti, ovvero la foresta. Infine, si sottolinea come l’azione di Magic Amor ETS miri a rendere le risorse congolesi una vera opportunità e non più una minaccia.
Figura 2 Minatori a Kailo (RDC) – Flickr
2. Risorse e politica nella storia della RDC
Nella storia della RDC, le risorse sono sempre state al centro di grandi scontri e violenze interne, fomentate anche da interessi di attori esterni. Queste hanno anche rappresentato il fulcro della strategia diplomatica di ogni governo congolese, il cui principale obiettivo di politica estera è sempre stato quello di stabilizzare le relazioni regionali, per poter poi pacificare il Paese anche internamente. Le risorse appaiono dunque come oggetto di contesa e, laddove il governo riesca effettivamente a mantenerne il controllo, pedina di scambio. È per la quantità e per il ruolo che queste risorse giocano nel Paese che la RDC è dunque talvolta definita uno “scandalo geologico”.
Con il dominio coloniale, prima personale di Leopoldo II e poi del Belgio, forze straniere, non solo i diretti occupanti, hanno potuto assumere progressivamente il controllo delle risorse congolesi. In Congo come altrove, questa ingerenza da parte di forze politiche esterne, diretta o esercitata tramite imprese multinazionali, è ancora oggi una realtà per quanto riguarda una grossa fetta delle risorse del Paese.
Non appena ottenuta l’indipendenza, il primo presidente della RDC, Joseph Kasavubu, ha da subito tentato di intessere relazioni con partner forti, che potessero essere d’aiuto nello stabilizzare e sviluppare il Paese. In un contesto globale di guerra fredda, la sua scelta è ricaduta sugli Stati Uniti, attratti proprio grazie alla ricchezza, alla grandezza e alla posizione strategica della RDC. Nello stesso periodo, la secessione del Katanga – una vasta regione a Sud-Est, tra le più ricche di risorse minerarie – e il tentativo del primo ministro Lumumba di rivolgersi a Paesi del blocco comunista per intervenire nell’area hanno da subito reso il governo fortemente instabile. È a questo punto che gli Stati Uniti hanno sostenuto l’entrata in scena, con un colpo di stato avvenuto nel 1965, del maresciallo Mobutu, che avrebbe governato in maniera dittatoriale per i successivi trent’anni[2].
Il consolidamento delle relazioni con gli Stati Uniti, e con l’Occidente in generale, ha fatto sì che Mobutu riuscisse in qualche modo a ottenere una parvenza di stabilità interna, il cui vero prezzo per la popolazione si sarebbe compreso meglio solo a posteriori. L’accordo era ancora una volta aiuti economici e militari in cambio di risorse. Una volta terminata la Guerra fredda, con gli Stati Uniti impegnati nel tentativo di “esportare la democrazia”, il sostegno a Mobutu è venuto meno. Caduta la dittatura nel 1997, gli Occidentali hanno appoggiato la salita al potere di Laurent-Désiré Kabila. L’appoggio al nuovo presidente arrivava anche dai vicini Uganda e Ruanda. Dopo non molto tempo, Kabila sembrava aver voltato le spalle ai suoi alleati, avvicinandosi a Paesi quali Libia, Cina e Cuba, e cercando di ridurre il peso del Ruanda sul suo governo, sostituendo il capo di stato maggiore inizialmente scelto, di origine ruandese, con un militare congolese. Da qui, in poco tempo, la costituzione di gruppi armati rivoluzionari filo-ugandesi e filo-ruandesi, nonché l’intervento di altri Paesi limitrofi ha reso la RDC il campo di battaglia di un conflitto di portata regionale. È da allora che l’Est del Paese, ovvero la zona più ricca di risorse minerarie, non conosce pace[3].
Joseph Kabila, figlio di Laurent-Désiré Kabila, succedutogli al Governo – col sostegno americano – in seguito all’assassinio di quest’ultimo, avvenuto nel 2001, ha dapprima ripreso una politica filoccidentale, per poi, anch’egli, cambiare strategia. A partire dal secondo mandato, iniziato nel 2011, il Presidente ha infatti condotto una politica di isolamento diplomatico e di avvicinamento progressivo alla Cina, sfociato in quello che è stato definito il “Contratto del Secolo”: un accordo per la costruzione di infrastrutture da parte della Cina in RDC, in cambio dello sfruttamento di ingenti risorse minerarie[4].
A Kabila, nel 2018, è succeduto Felix Antoine Tshisekedi, l’attuale Presidente, il quale ha improntato la sua politica a una riapertura di tutti i canali diplomatici, con l’Occidente così come con tutti i Paesi limitrofi, nonché attraverso il coinvolgimento più attivo del Paese nei consessi internazionali. Tutto ciò, tuttavia, non ha ancora prodotto risultati significativi in termini di stabilizzazione del Paese[5]. Il problema rimane infatti quello della mancanza di effettivo controllo sulle risorse, dovuto anche a continui conflitti, e sulla conseguente dipendenza da attori esterni. Se non oggetto della contesa di centinaia di gruppi armati diversi, dietro cui si celano potenze e interessi differenti, le risorse sono immobilizzate da grandi contratti, come quello con la Cina, dai quali la RDC sembra ricevere benefici nemmeno lontanamente commisurati a quelli offerti alla controparte.
In definitiva, risorse che potrebbero costituire la ricchezza di questo Paese, per il momento rappresentano un motivo di dipendenza e di instabilità.
Figura 3 Deforestazione – European Wilderness Society
3. La foresta: opportunità, minacce e l’azione di Magic Amor ETS
Nell’immaginario comune, e anche in molti dei casi cui si è fatto riferimento nell’excursus appena concluso, quando si parla di risorse, si pensa soprattutto a quelle minerarie. Tuttavia, una delle maggiori risorse della RDC è rappresentata dall’enorme foresta pluviale che occupa quasi il 70% del territorio[6]. Della grande importanza di questa risorsa, nonché dei severi danni cui è sottoposta da molti anni, per via di una deforestazione massiva, abbiamo già in parte discusso in un articolo pubblicato sul nostro sito nel luglio di quest’anno e che vi invito a recuperare. È sufficiente ricordare che, pur essendo tra i minori produttori di C02 a livello industriale, la RDC si ritrova al dodicesimo posto nel mondo per emissioni totali, la maggior parte delle quali derivano proprio dalle attività legate allo sfruttamento o dalla distruzione della foresta[7]. Qui, rispetto a quel contributo, ci si concentra su due ulteriori aspetti: lo sforzo internazionale atto a preservare una risorsa planetaria fondamentale e l’utilizzo che viene fatto di questa foresta, all’origine anche dei fenomeni di disboscamento.
Sin dal 2009, l’ONU ha lanciato anche in RDC il progetto REDD+, per la riduzione delle emissioni da deforestazione e degradazione delle foreste. Sulla base di questo, la RDC si è impegnata a mettere in campo una strategia e un piano di azione nazionali in questo senso, e diversi sistemi di monitoraggio e di salvaguardia sono stati introdotti[8]. Insomma, la comunità internazionale ha mostrato interesse per la preservazione di un bacino di biodiversità unico al mondo, nonché di uno dei grandi polmoni del Pianeta, che permette naturalmente l’assorbimento di tonnellate di CO2. Da ciò deriva che la possibilità di sfruttamento della foresta da parte del Paese è – o quantomeno dovrebbe essere – limitata su molti fronti.
Se questa appare come una buona notizia per il Pianeta, non vi sono solo vantaggi per quanto riguarda la RDC. In termini generali, laddove i Paesi oggi sviluppati hanno potuto crescere a ritmi elevatissimi, grazie a uno sfruttamento spregiudicato delle risorse, Paesi quali la RDC si trovano a non avere la stessa possibilità proprio a causa dei danni provocati dai primi. Certamente, azioni nella direzione di una maggiore salvaguardia della foresta contribuiscono sensibilmente a evitare l’impoverimento e l’erosione dei suoli e a ridurre la vulnerabilità del Paese di fronte ai cambiamenti climatici. Tali interventi mirano inoltre a impedire pratiche malsane quali l’agricoltura “taglia e brucia” e a fermare sistemi inadeguati di concessioni forestali ad aziende di legname prevalentemente estere, che privano il Paese di ricchezza. Tuttavia, è anche vero che la foresta rappresenta una fonte importante di sopravvivenza e di introito economico per la società locale. Basti pensare che il 93,2% dell’offerta totale di energia in RDC deriva da biomassa e rifiuti; ad esempio, il 94% della popolazione dipende ancora dalla combustione del carbone vegetale o “carbone di legna” per cuocere il proprio cibo[9]. La questione fondamentale è dunque, nel proseguire negli sforzi di tutela ambientale, quella di fornire delle alternative valide alla popolazione locale.
Questo punto è sempre ben chiaro a Magic Amor ETS, quando persegue attività di tutela della flora e della fauna delle aree più vulnerabili, come da suo statuto. Come introdotto nell’articolo di luglio già citato, l’associazione sta lavorando alla proposta di un progetto di riforestazione molto ambizioso, il quale non solo mira al ripristino di ambienti naturali degradati, ma intende anche fornire alternative concrete di reddito per le popolazioni locali, quali sistemi di agricoltura, frutticoltura e apicoltura sostenibili, nonché la vendita di certificati di compensazione di CO2. Inoltre, sempre per ridurre la consumazione di carbone vegetale, Magic Amor ETS prevede di ristrutturare il proprio orfanatrofio, rendendolo completamente autosufficiente dal punto di vista energetico, tramite l’utilizzo di pannelli fotovoltaici, ancora molto poco diffusi in Congo.
La strada è lunga, l’obiettivo ambizioso, ma necessario: le transizioni verde e tecnologica mondiali non possono e non devono in alcun modo comportare e accettare con indifferenza il sacrificio forzato di milioni di persone, di minatori, di agricoltori, di bambini. La popolazione della RDC ha diritto di godere della ricchezza del proprio territorio e di viverla come un’opportunità e non più come una minaccia.
Andrea Crinò
*Figura 1 L’Africa vista dallo spazio – rawpixel.com
[1] D. Van Reybrouck, Congo, traduzione italiana, 2014 a cura di, Milano: Feltrinelli, 2010.
[2] State Dept (US) Office of the Historia, Nina D. Howland et al. (2013) Foreign Relations of the United States 1964-1968: Congo, 1960-1968, Government Printing Office.
[3] M. Schatzberg, «Beyond Mobutu: Kabila and the Congo,» Journal of Democracy, vol. 8, n. 4, 1997.
[4] Bob Kabamba (2022) La République Démocratique du Congo sous Joseph Kabila: Devoir de mémoire » à l’épreuve de la Science politique, in Néhémie Mwilanya, « La République Démocratique du Congo sous Joseph Kabila: Devoir de mémoire » L’Harmattan, Paris, 2022
[5] Oussama Tayebi (2022) La politique étrangère de la République démocratique du Congo sous la présidence Tshisekedi : entre ambition de refonte et volontarisme diplomatique, Policy Center for the New South.
[6] World Factbook CIA (2018), RD Congo
[7] Gabbatis J. e Viglione G. (2024) The Carbon Brief Profile: Democratic Republic of the Congo, accessibile su: https://interactive.carbonbrief.org/the-carbon-brief-profile-drc/index.html
[8] UN-REDD Programme (2024), Democratic Republic of the Congo, consultato online il 20/11/2024 su https://www.un-redd.org/partner-countries/africa/democratic-republic-congo
[9] IEA (2022) Democratic Republic of the Congo, consultato online il 20/11/2024 su: https://www.iea.org/countries/democratic-republic-of-the-congo